Il motore a gassogeno è stato un'invenzione
dell'epoca autarchica. Negli anni trenta, poiché le sanzioni contro l'Italia
avevano di fatto limitato la possibilità di approvvigionamento di materie
prime, fu dato grande impulso alla ricerca di fonti energetiche alternative.
La più gettonata fu quella elettrica, da cui il grande sviluppo del filobus
negli anni trenta, ma furono esplorate anche alcune possibilità di trazione
termica.
Il motore a gassogeno sfruttava la forza
propulsiva del gas prodotto dalla combustione della legna da ardere (materiale
che in Italia non mancava). Gli autobus in questione (contraddistinti dalla
sigla 110 AG, a differenza dei 110 AN che andavano a nafta) erano dotati di
una enorme caldaia sul retro della vettura, il cui bruciatore veniva caricato
con blocchetti di legno. Il gas così prodotto veniva poi convogliato
all'apparato motore, che forniva la necessaria energia per la propulsione.
I punti deboli del sistema erano ovviamente
numerosi:
1 - lo scarso potere energetico della legna, che a fronte del basso costo obbligava
a consumare una grande quantità di materiale;
2 - la scarsa autonomia del mezzo, per cui ad ogni sosta di capolinea occorreva
la presenza di un addetto che pazientemente riempisse di legna il bruciatore;
3 - la pericolosità del sistema, in quanto la combustione della legna
poteva generare ossido di carbonio, il che rendeva necessario collocare la caldaia
all'esterno del veicolo, con il conseguente sbilanciamento della struttura;
4 - le abbondanti scorie residue, che dovevano essere raccolte e eliminate.
Gli autobus "a carbonella" vennero rimessati
in un'ala del deposito tranviario di Porta Vittoria (oggi demolito) in viale
Campania, che fu appositamente attrezzata a questo scopo. A Milano, fecero servizio
per circa 10 anni. Finita la guerra, furono tutti trasformati con un normale
motore a gasolio o a GPL, e rimasero in circolazione fino ai primi anni sessanta.
