Dal Portello ad Arese
Problemi di organizzazione familiare mi avevano portato, seppure a malincuore,
a chiedere un colloquio alla Direzione del Personale per essere trasferita nel
nuovo stabilimento di Arese.
Intanto il mio lavoro procedeva bene, il clima era sempre più familiare e ogni
tanto c’erano delle novità come quelle che portavano alcuni stagisti stranieri.
Ricordo con molta simpatia un ingegnere nigeriano, grande appassionato di Alfa
Romeo, che raccontava, nel suo italiano molto incerto, di appartenere ad una
famiglia nobile e tutti lo prendevano bonariamente in giro, dicendo che avrebbe
dovuto esibire la prova di quanto affermava. Era una persona di una simpatia
unica, era arrivato con altri due colleghi nigeriani e, insieme, erano diventati,
se si può dire, l’attrazione di tutta la Direzione Assistenza Scuola (DIASS).
Con loro si faceva a gara per trascorrere l’intervallo e ricordo che ci
aspettavamo, dopo il suono della campana che annunciava l’inizio della pausa,
per andare insieme in Mensa. Attraversavamo a passo velocissimo, quasi di corsa,
un tunnel un po’ buio che era una scorciatoia comodissima specialmente nei giorni
di pioggia o freddo, dove si affacciavano gli spogliatoi degli operai e dove lungo
le pareti, a tratti, c’erano una serie di lavabi lunghi nei quali passavano dei tubi
sottili che scaldavano l’acqua nella quale, gli operai che non andavano in mensa,
facevano scaldare il contenitore del pranzo che qui in Lombardia si chiama “schiscetta”.
Quando entravamo in mensa , la corsa si arrestava per via della paura di
scivolare su quei pavimenti un po’ unti e la vista si acuiva per trovare
posti liberi in cui non ci fossero piatti già pronti. Per dare un’idea vi
racconto come funzionava. Dunque, c’erano delle tavolate lunghissime e tra
una tavolata e l’altra le signore addette alla distribuzione dei pasti
spingevano un carrello e, per ottimizzare il servizio, riempivano i piatti
in modo che la gente man mano che affluiva si sedeva e iniziava a mangiare
senza aspettare. A me personalmente non piaceva trovare il piatto già pronto
e quasi freddo, e, così, cercavo il corridoio dove il carrello non era ancora
arrivato e si faceva a gara a chi lo trovava prima.
Ricordo quei tempi, ed in particolare il mio lavoro al Portello, con una
infinita nostalgia ma anche con la consapevolezza di aver vissuto un periodo
bellissimo e irripetibile, anche per l’entusiasmo e le speranze della mia giovane età.
Ma ritorniamo all’ingegnere nigeriano che affermava di essere un nobile.
Bene, come aveva più volte promesso a chi lo sfidava di dare una prova della
sua nobiltà, alla fine del periodo di stage venne a salutarci con indosso
il costume della sua casata ed un copricapo tempestato di pietre preziose
fatto arrivare appositamente dalla Nigeria, come si può vedere dalla
foto.
L’8 febbraio del 1974, la festa di addio la feci purtroppo anch’io. Dopo
una serie di colloqui con il dr. Agazzi della Direzione del Personale, ero
riuscita ad ottenere il trasferimento ad Arese, e precisamente alla Direzione
Veicoli Industriali, dove avrei dovuto dare una mano al signor Apino che si
occupava delle assegnazioni dei veicoli pesanti alle varie Filiali.
Quella fredda mattina dell’8 febbraio mi fermai a comprare dei pasticcini
e delle bottiglie per brindare con tutti i miei colleghi e colleghe della
DIASS che, dispiaciuti della mia decisione, mi porgevano insieme ad un caro
arrivederci, una bellissima borsa di pelle e una modernissima cintura.
…continua