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60 anni dell'Alfa Romeo TZ: l’elogio della leggerezza




La Giulia TZ è stata una gran macchina, dalla storia breve, ma ricca di trionfi. Una delle Alfa Romeo più celebri del suo tempo, che ha visto la luce 60 anni fa: non tutto è stato facile, nel corso del progetto, perché la messa a punto dell’originale coupé a coda tronca è stata difficile e tortuosa. Interrotta più volte, ma per fortuna, poi ripresa e ultimata. È il periodo delle ultime Giulietta, mentre la Giulia, nell’estate del 1962, sta diventando una splendida realtà. In un contesto simile, la TZ, che è auto da corsa a tutti gli effetti, deve ritagliarsi il suo spazio. Ma per capire che cosa ha rappresentato, dobbiamo tornare indietro al 1959.

Padri eccellenti. È allora che i progettisti del Biscione, Orazio Satta Puliga e Giuseppe Busso iniziano a tratteggiare un’auto da corsa diversa dalle altre. Che avrà motore (1.6, quattro cilindri) anteriore longitudinale e trazione posteriore, con i gruppi meccanici derivati dalla serie (la “donatrice” sarà la Giulia): c’è, però, la libertà di montarli su un nuovo telaio e sospensioni disegnate ad hoc. La coupé non è piccola (la versione definitiva sarà lunga 3,95 metri, alta 1,2 e con passo di 2,2 metri) e ha la particolarità di avere il telaio a traliccio tubolare, in acciaio al nichel-cromo, resistente e molto leggero (appena 62 chili). Grazie a traverse, la struttura sorregge all’avantreno il radiatore, il motore, il cambio e le sospensioni, mentre in coda sono fissati il ponte, gli ammortizzatori e il traliccio che, a sua volta, sostiene il serbatoio. Le sospensioni sono a ruote indipendenti, con l’assale anteriore a bracci trasversali sovrapposti (con molle elicoidali e barra stabilizzatrice), mentre in coda c’è uno schema nuovo, in cui il semiasse oscillante funge anche da elemento cinematico, come braccio superiore, mentre un triangolo inferiore completa il gruppo. Inoltre, per ridurre le masse non sospese, si decide di montare i dischi freno posteriori entrobordo, a ridosso del differenziale.

Confronto serrato. A vestire questa meccanica viene chiamato Zagato, che ha già fatto un ottimo lavoro con la Giulietta SZ, un fulmine in pista. Ed è lo stesso Busso a spingere il carrozziere milanese a insistere con la soluzione della coda tronca: tra il tecnico e Zagato (la vettura nasce dalla matita del giovane Ercole Spada), infatti, il confronto è serrato, sui dettagli. Il 21 ottobre, finalmente, la macchina è pronta per scendere in pista, nelle mani dei collaudatori Consalvo Sanesi e Guido Moroni. Il teatro è Monza, dove non si può barare: e le prestazioni dell’auto, una spider con hardtop, deludono. C’è anche un problema di tenuta al retrotreno. Nel frattempo, Zagato corre ai ripari: chiude il tetto e lo raccorda alla coda, a sua volta allungata, attingendo dall’esperienza maturata con la SZ a coda tronca. I risultati arrivano: la vettura supera i 215 km/h e i tempi sul giro migliorano subito. Inoltre, il frontale viene allungato e abbassato, assumendo una funzione deportante, mentre la coda assume sempre più la foggia a coda tronca, che Zagato preferisce incassata.

Debutto torinese. Nell’ottobre 1962 la sportiva esordisce al Salone di Torino con il nome GTZ: i gruppi ottici sono squadrati e carenati, la carrozzeria è d’alluminio, mentre i vetri laterali e il lunotto sono di plexiglas. Inizialmente si parla di due versioni, una 1.3 e una 1.6, poi, nel 1963 l’Alfa Romeo avvia la produzione di cento esemplari per l’omologazione nella categoria Gran Turismo, solo con l’1.6, che eroga 112 cavalli a 6.500 giri. L’elaborazione del propulsore per le corse viene affidata anche a preparatori privati, come Conrero, che arriverà a spuntare 160 cavalli a 7.500 giri (su una massa a vuoto di soli 660 chili). La vettura definitiva si chiama Giulia TZ, sigla che sta per “Tubolare Zagato”. Una leggenda.

Arriva Chiti. La produzione degli esemplari viene così organizzata: l’Alfa Romeo realizza gli organi meccanici, la società aeronautica Ambrosini di Passignano sul Trasimeno (Perugia) il telaio, mentre la Zagato si occupa di carrozzeria e interni. Serve qualcuno che assembli il tutto e metta a punto la meccanica. Il presidente Giuseppe Luraghi chiama l’ingegner Carlo Chiti, che diventerà già nel 1963 il deus ex machina dell’Autodelta. Risolto da Busso il problema alle sospensioni posteriori, che non lavorano a dovere sui tamponi di fine corsa, per la TZ cominciano le vittorie. In novembre Bandini, Bussinello, Baghetti e Sanesi conquistano la Coppa Fisa a Monza. Poi, l’anno dopo, la TZ sarà prima di classe a Sebring, alla Targa Florio, al Nürburgring, a Le Mans, al Tour de France. Non solo vince, ma entusiasma chi la guida e i tifosi. La Giulia TZ nasce come auto da pista, ma si adatta bene anche alle gare su strada, con i suoi pneumatici stretti, su cerchi di lega Campagnolo da 15 pollici. La TZ continua a vincere, nella sua leggera semplicità, e già la TZ2, nel 1965, è una realtà.




Fonte: https://www.quattroruote.it/

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