Tavares: "Tasse e divieti, a rischio l'industria automotive e il diritto alla mobilità"

La guerra di religione contro l'auto





Carlos Tavares, ceo di Stellantis
Sarà perché sa di essere alle battute finali della sua reggenza in Stellantis e i freni inibitori gli si sono allentati, sarà perché ha rotto i ponti – perlomeno quelli di rappresentanza formale – con i colleghi ceo (ha abbandonato l'Acea, l'associazione dei costruttori europei, giudicandola troppo poco incisiva nell'arginare la deriva dirigista di Bruxelles), sta di fatto che ogni incontro con Carlos Tavares riserva sorprese. In ottobre, ci si era visti al Salone di Parigi e durante l'intervista aveva a sorpresa sparato a palle incatenate contro Pechino (e – sia pur senza nominarli espressamente – i tedeschi, che considera compromessi con il Celeste Impero), sollecitando l'Unione Europea ad alzare barriere doganali verso i prodotti cinesi. Mi aspettavo analoghi fuochi d'artificio dalla chiacchierata in occasione del Ces di Las Vegas. E le mie aspettative non sono andate deluse. Tavares, infatti, è più volte tornato sul tema di come la politica stia condizionando le vendite: «Vedo un continuo fiorire di tasse, di restrizioni, di ostacoli alla circolazione privata. (…) La libertà di muoversi è costantemente sotto attacco. (…) E sono i politici a volere tale ridimensionamento. Devo in ogni caso ritenere che la gente sia d'accordo, visto che li hanno eletti come loro rappresentanti. Si sia tutti consapevoli, però, che la grandezza del mercato è determinata da leggi che impongono di non usare la macchina».

A Milano è tornato in azione il collettivo "sgonfiagomme" delle Suv
Tavares giustamente si preoccupa della sostenibilità dell'industria di cui è protagonista. Ma la sua annotazione evoca un punto di più ampia rilevanza. Media, industria e appassionati si concentrano sulla transizione, criticandone fattibilità e costi, discettando sul ruolo che devono avere i governi nel favorire la rivoluzione, domandandosi perplessi se le politiche energetiche e l'infrastruttura asseconderanno l'impetuosa crescita dell'offerta Bev, chiedendo retoricamente se esista una cabina di regia in grado di governare questa rivoluzione (tranquilli, non c'è). Distratti dall'incipiente elettrificazione e dalle sue implicazioni, non ci si accorge di come nella società stia germogliando una scuola di pensiero che mette in discussione uno dei capisaldi della civiltà occidentale: il diritto – difeso per oltre un secolo come una conquista irrinunciabile – di muoversi in automobile. Va allargandosi la convinzione che l'elettrico, in fondo, sia soltanto un palliativo che tampona il problema ambientale senza risolverlo (cosa sulla quale, in punta di scienza, potremmo anche essere d'accordo); e che il modo più efficace per salvare la Terra (sempre che questa frase abbia un senso) sia di rinunciare tout court al trasporto privato, partendo dalle città. Le cronache sono ormai popolate di proteste saldate dalla certezza che le macchine vadano espulse dal consesso civile. I vandalismi di varia natura che registriamo ormai ogni giorno – chi sgonfia le gomme delle Suv (per qualche motivo considerate macchine da ricchi), chi sabota i cartelloni pubblicitari, chi irrompe nei Saloni danneggiando i modelli esposti, chi si sdraia in mezzo alla strada – non vanno ritenuti estemporanee quanto ingenue dimostrazioni d'intransigenza ideologica. Sono le derive estremistiche di un'opposizione pregiudiziale all'automobile che per guadagnare ascolto nella collettività è all'ossessiva ricerca di pretesti da strumentalizzare.

La recente campagna sui 30 all'ora in città, rinfocolata dalla proposta di Milano d'introdurre il limite in tutto il suo territorio, ne è plastica evidenza. Chi rivendica tale provvedimento sa bene che si otterrebbero risultati ben più efficaci in termini ambientali agendo sul bisogno di mobilità, per esempio promuovendo il lavoro da remoto. Ma non è chi non veda come dietro l'abbassamento del limite – non a caso diventata istanza identitaria attorno alla quale coagulare il fronte car-less – si celi l'ennesimo, determinato tentativo d'impedire l'uso dell'auto. Il primo firmatario della proposta, Marco Mazzei, è un attivista pro-bici che esulta di un presunto disinteresse dei giovani verso le macchine, che predica che è «l'abuso dell'auto a punire tutti noi», che vorrebbe «da domani la chiusura completa delle città al traffico privato», che auspica che «i vecchi» – come li chiama lui – non guidino più perché pericolosi e che – forte della legittimazione popolare datagli dai mille voti presi alle ultime Comunali – si è fatto carico della missione salvifica di condurre (pedalando, si presume) la società tutta «dal '900 a un nuovo secolo». Del resto, Arianna Censi, assessore alla Mobilità di Milano, lo ha candidamente ammesso: il capoluogo «dovrà necessariamente andare verso l'abbandono di tutti i mezzi a motore».

Ora, il sindaco Sala non è uno sprovveduto: se ha deciso di puntare su questa guerra di religione, lo ha fatto consapevole di potersi rivolgere a un movimento d'opinione nutrito e motivato. Attenzione, dunque, a derubricare quanto sta accadendo a ingenuo idealismo che non ha chance di attecchire nella coscienza collettiva (annoto già le dichiarazioni di uno scienziato solitamente ragionevole come Mario Tozzi, che twitta apocalittico: «Limite 30 km/h subito anche a Roma e nelle altre città italiane. Per salvare vite e abbandonare l'auto privata»). Ricordo a tutti che un analogo spirito millenarista ha guidato la Commissione a trazione olandese (Paese storicamente refrattario all'automobile: sarà un caso?) nel gettare un intero continente nelle spire di una transizione basata su pregiudizi fallaci e irragionevoli. Se fossi nell'industria automotive, che non brilla per capacità di anticipare i cambiamenti, inizierei a preoccuparmi di chi vuole la morte della mobilità privata e della sua filiera. Da questo, e non dall'elettrificazione, dipende la sua sopravvivenza. Da cittadino, inizierei a chiedermi se vada premiata una politica così distante dalle esigenze della gente comune.


Fonte: - LETTERE DALL'AUTO quattroruote
di Gian Luca Pellegrini
twitter: @Pellegrini4R




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