Alfa Romeo 2600: l’ammiraglia dimenticata dal motore straordinario

Con il sei cilindri da 130 cavalli era in grado di partire da fermo in quinta marcia, segno di un’elasticità senza pari e non solo per l’epoca




Sono sessanta anni non solo per la Giulia, di cui parleremo presto, ma anche per l’ammiraglia 2600: auto poco ricordata anche nelle sue magnifiche versioni sportive derivate e totalmente dimenticata nella sua versione berlina d’origine; crediamo invece meriti un ricordo. Per inquadrarla correttamente occorre fare un piccolo passo indietro nella storia, tornare a quella Alfa Romeo 2000 che, nel 1958, avrebbe dovuto sostituire la amatissima ma ormai superata 1900 Super nel cuore degli Alfisti; dotata dello stesso motore da 105 CV ma gravata di 240 kg. aggiuntivi essa fallì però, clamorosamente quanto prevedibilmente, il bersaglio.

Un’Alfa Romeo lenta è sempre stata un ossimoro viaggiante che la clientela ha immancabilmente ignorato ma, in questo caso, al suo scarso successo contribuì forse anche una linea troppo elaborata ed americaneggiante che ne consentì la vendita in soli 2.799 esemplari, molti dei quali “rifilati” dall’Azienda di Stato ad apparati dello stesso. Cercando di porre rimedio a questa incresciosa situazione, all’Alfa Romeo reagirono come a loro è sempre riuscito meglio: progettando un motore all’altezza della situazione; e che motore!

Ciò che uscì dalle stanze pensanti di Arese fu infatti un capolavoro: sei cilindri in linea tutto in alluminio e sempre con distribuzione bialbero, tradiva a prima vista la sua derivazione da quello ormai storico della Casa presentandosi pressoché uguale solo più lungo. Già nella sua versione tranquillizzata montata sulla berlina sviluppava 130 CV DIN che, a peso quasi invariato rispetto alla 2000, cambiava il quadro prestazionale dalla notte al giorno; un giorno, tra l’altro, particolarmente luminoso visto che in termini di prestazioni l’Alfa Romeo 2600 era in grado di sverniciare tutte le concorrenti: Mercedes Benz, Jaguar o Lancia che fossero.

Nella prova di Quattroruote essa superò i 180 e segnò un tempo appena superiore ai 13 sec sullo 0-100: nulla che 220 SE, MK II 2,4 o Flaminia potessero sognarsi; il tutto, è onesto però dirlo, con un appetito degno di miglior causa visto che la nostra Alfona difficilmente percorreva più di sei km con un litro anche ad andature da padre di famiglia. Ma ciò che più di tutto stupì gli appassionati fu l’eccezionale elasticità di questo motore capace di consentire alla massiccia berlina di partire da fermo senza sforzo addirittura con la quinta marcia innestata: un test eseguito, forse per sbaglio, dalla citata testata giornalistica che crediamo sia senza riscontri in tutta la produzione mondiale.

Ciò che, nel caso della 2600, ne impedì il successo commerciale va ricercato quindi fuori dal cofano motore e più precisamente in quella linea, già rifiutata con la 2000 e qui troppo poco modificata e quel poco nella direzione sbagliata; ma influì negativamente anche una mancanza di rifinitura e di dotazione accessoristica ormai imbarazzante in questa categoria di automobili.

Direzione sbagliata nello stile che, pur rinunciando alle pinne, deborda in una pletora di profili cromati sulle fiancate e che propone un frontale più arzigogolato di quello del Duomo di Milano; si cercò di rimediare verso la fine della produzione eliminando almeno le cromature ma ormai era tardi anche perché, con la 2600 De Luxe del 1965, si era visto come avrebbe dovuto essere l’ammiraglia Alfa Romeo fin dall’inizio.

Una luminosissima creatura di Sergio Sartorelli per OSI, oltretutto accessoriabile finalmente con condizionatore e vetri elettrici, che non riuscì a superare i cinquantaquattro esemplari venduti solo a causa della sciagurata decisione di porla in listino ad un milione di lire (il prezzo di due Fiat 500) in più, accessori esclusi, della già non economica berlina di serie. La quale peggiorò le già scarse performance commerciali della 2000 totalizzando solo 2.038 esemplari venduti in sette anni; l’Alfa Romeo 2600 venne infatti tolta dal listino nel 1969 e per vedere la sua erede si dovette attendere dieci anni e l’Alfa 6.

Oggi, secondo noi, questa berlina ha tramutato in pregi tutti i suoi difetti stilistici in quanto significativa testimone di un’epoca mentre la sua sete ed il grado di finitura disinvolto non possono disturbare più di tanto un collezionista.Possono quindi risaltare indisturbate in tutto il loro splendore l’eccellenza meccanica del suo motore con relativa melodia allo scarico, la potenza della frenata a quattro dischi e l’esuberanza delle prestazioni; rimangono solo due difetti: il primo, a cui ci si abitua facilmente, è la scarsa manovrabilità del cambio a cinque marce con leva al piantone.Il secondo invece, veramente penalizzante, è una durezza dello sterzo neppure immaginabile per un automobilista odierno; val la pena pensare al montaggio di un servosterzo elettrico di quelli oggi in commercio.

Sì, perché, dopo averla acquistata per meno di venticinquemila Euro, sarà bene godersela il più possibile, insieme a tutta la famiglia, negli eventi più svariati in cui avrete la soddisfazione di mostrare al pubblico un’auto mai vista insieme con la vostra sopraffina competenza automobilistica.


Fonte: https://www.ilsole24ore.com/


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