Racconto di Natale

ALFINO
L’Angelo piccolino amico di ogni bambino


“Alfino, fermati… dove vai così di fretta e su un’auto poi?” Il vecchio custode della fabbrica era uscito dalla guardiola per cercare di fermare quel piccolo angelo tanto indaffarato a portare un sorriso a tutti i bambini del mondo.
Da un po’ di tempo, le ali le usava poco, Alfino si era motorizzato. Da quando aveva incontrato una persona speciale, una “pilotessa”, sì, proprio così, una donna pilota dolce e generosa, Alfino era stato preso dalla febbre dei motori. Non era più lui, aveva dimenticato di usare le sue soffici ali, quel mezzo di trasporto che chissà quanti automobilisti, spesso bloccati in lunghe code di traffico, vorrebbero volentieri vedersi spuntare.
Alfino aveva incontrato Miss Speedy in Ospedale per una manifestazione di beneficenza durante la quale, la bella e temeraria signora, avrebbe destinato una somma raccolta per l’acquisto di nuove attrezzature per il reparto di Pediatria. Alfino era là, sensibile alle sofferenze di quei bambini che si trovavano a combattere contro qualcosa di sconosciuto, più grande di loro che persino ad un angelo era incomprensibile, per esaudire un desiderio e portare un sorriso.
Alfino era visibile soltanto ai bambini, gli adulti non lo vedevano, anzi a loro a volte faceva qualche scherzetto come far volare di mano dei fogli alla caposala o scambiare, nelle cucine, il barattolo dello zucchero con quello del sale, quando nelle pause, le infermiere bevevano il caffè.
Quel giorno era una gran festa, la pilotessa che indossava una bellissima tuta rossa, distribuiva doni e dolciumi mentre nell’aria si diffondevano dolcissime note e quando l’ultimo giocattolo fu donato, Miss Speedy raccolse tutti i bambini intorno a sé e cominciò a raccontare la storia della Mille Miglia, la storia della corsa che senza dubbio aveva contribuito al progresso dell’automobile.
I bambini seguivano rapiti e affascinati le rocambolesche avventure di piloti che correvano tra una straordinaria cornice di pubblico festante in un percorso che attraversava alcune tra le località italiane più cariche di storia e più ricche di bellezze artistiche. Correvano stando stretti in angusti abitacoli, con i piedi arrostiti dai tubi di scarico posti sotto il pianale in lamiera, e manovravano con affanno grossi volanti di legno. Odore di olio bruciato… brusio di lamiere scricchiolanti, ma ne valeva la pena. Il pubblico li considerava eroi, li ammirava per la loro temerarietà.
Quella signora l’aveva incuriosito parecchio e, alla fine della festa decise di seguirla perchè voleva sapere tutto di lei, non aveva mai visto una donna correre in auto, di solito sono gli uomini ad essere più appassionati di motori e velocità.
Alla fine della festa, i bambini rientrarono nelle loro camerette stanchi ma felici di aver trascorso una così bella giornata. Miss Speedy si accomiatò dalle autorità e si diresse all’uscita per tornare alla sua Alfa Romeo rossa scoperta che l’avrebbe riportata a casa.
Alfino, in un batter d’ali, s’infilò e si nascose nel sedile posteriore di quella macchina piccola e veloce e i suoi occhi si soffermarono sulla lunga chioma di capelli neri della donna che il casco conteneva a stento e che svolazzavano facendo arrivare alle sue narici un profumo di miele e mandorle amare. Quella donna gli piaceva non tanto per il suo aspetto fisico, ma per il coraggio e la bontà che aveva dimostrato di avere. In ospedale i bambini erano rimasti affascinati e lui più di ogni altro sapeva riconoscere l’intensità di quella luce di gioia e di curiosità che aveva letto nei loro occhi.
Dopo qualche ora di viaggio, senza alcuna pausa, Miss Speedy parcheggiò la sua Alfa in un ampio garage accanto ad altre macchine, tutte in ordine perfetto, sembrava che fossero esposte in un Museo.
Seguì la pilotessa in casa e fu subito colpito da tutti i trofei, le coppe che facevano bella mostra di sé e dalle tante foto che la ritraevano dopo una vittoria, ma soprattutto, con il viso sorridente incorniciato dalla foltissima chioma, accanto a tanti bambini in moltissime occasioni. In un album aperto su un tavolino, decine e decine di foto con personaggi famosi della cultura, della medicina e del cinema. Sotto ogni foto era scritto, con una calligrafia chiara e precisa, la data e il luogo dell’avvenimento.
Alfino pensò che quella era una donna importante e molto importante era la sua attività di beneficenza rivolta ai bambini, che più di tutti hanno bisogno di aiuto perché la sofferenza e il dolore fisico per un bambino non è né concepibile né accettabile.
Le luci della casa immersa nel verde si andarono a spegnere piano piano e Alfino si addormentò su quell’album e sognò di essere ancora seduto su quella bellissima auto rossa, di sentire forte l’odore della pelle dei sedili, e di correre… correre… correre su strade impervie accanto alla sua pilotessa.
All’alba si alzò in volo e lasciò momentaneamente quella casa, aveva i suoi giri da fare, i suoi piccoli amici da visitare e un’idea che cominciava a frullargli per la testa.
Volava alto su case e palazzi e la vita degli uomini da lassù gli sembrava lontanissima, ogni tanto planava un pochino per vedere quella fila di macchine che dall’alto sembravano dei giocattolini, tanto erano piccine.
Ad un tratto, passando davanti ad una finestra aperta sentì il pianto di un bambino, tornò indietro e si introdusse in quella stanza.
Un bimbo entrava in quel momento e si dirigeva col visetto sbattuto e gli occhi gonfi verso un’anziana signora, seduta su una poltrona, e le tese un quaderno riprendendo a piangere.
“Cosa è successo? Uno zero?” esclamò la donna. Il bimbo, rinforzando i singhiozzi, affermò. Lo prese in braccio e gli disse:
“Su, su, che diamine! Un omino si vergogna a piangere! Ora starà buono e la nonna gli asciuga gli occhietti, così…, e gli racconta una bella favola!”
Il piccolo le sorrise tra le lacrime e le si sedette in grembo. “C’era una volta…”
Sapete perché non aveva sgridato il nipotino? Perché si era ricordata del suo primo zero. Aveva sei anni, e chiudendo gli occhi rivedeva ancora la sua classe: uno stanzone chiaro, pieno di banchi, con una tavola in fondo per la maestra e un vecchio armadio sulla destra che tutti chiamavano, il museo. Là dentro, sotto chiave, stavano cianfrusaglie d’ogni genere: palline di lana, cubetti e mattoncini in legno di tutti i colori, frutta di creta e macchinine di cartone, tutti i lavori di varie generazioni di scolari.
Lei, ai suoi tempi, soprannominata il moto perpetuo, godeva del raro privilegio di non avere il posto fisso: la mattina, quando la maestra dettava, occupa un banco i prima fila: nel pomeriggio, quando c’erano le interrogazioni orali si spostava negli ultimi posti con la speranza di non essere interrogata.
Fino dall’infanzia detestava l’aritmetica, e il ricordo di quelle ore l’angosciava ancora. Il piccolo l’ascoltava rapito, e Alfino fissava tutti e due..
“Una mattina – riprende la nonna – ero particolarmente annoiata, presi il mio mozzicone di matita e iniziai a fare ghirigori in calce ad ogni pagina del mio quaderno, omini con la testa tonda e le mani a rastrello, casette, alberi, draghi, fiori fino a riempire tutte le pagine del quaderno. Come mi sembravano belli i miei disegni! Ma ohimé! La maestra impensierita dal mio silenzio, si alzò e venne a vedere, mi prese il quaderno, si accorse del disastro, mi prese la matita e con essa tracciò sull’ultima pagina ancora bianca un terribile zero tagliato, il che nel nostro codice scolastico equivaleva ad una pena infamante”.
Gli occhi del bambino si sgranarono e Alfino si lasciò sfuggire un: Oh! ma fu come un fruscio appena percettibile..
“Io fissai il cerchio rosso – continuò la nonna – e il cuore mi cadde, mi sembrò come se fosse finito in quel cerchio. Mi sentii abbandonata e infinitamente triste, sola, davanti a quello zero, e piansi tutte le lacrime più amare. Quando tornai a casa raccontai tutto alla mia mamma, che, invece di sgridarmi, come temevo, mi accarezzò, mi sistemò i capelli e mi baciò sorridendo. Disse soltanto: “E’ triste, vedi, far male ed essere puniti. E nella vita, sempre, ad ogni colpa segue la pena. Tienilo bene a mente piccina mia.”.
Calmata, ripensai a quelle semplici parole e le compresi così chiaramente che quello zero è rimasto unico nella mia lunga carriera di scolara, non solo, ma è diventato un simbolo che mi ha aiutato molto nella vita. Ricorda, bambino mio che uno zero ed un consiglio assennato, purchè arrivino in tempo, operano miracoli: solo bisogna sapersene valere”. Il bimbo le sorrise e l’abbracciò.
Alfino, li lasciò così, stretti in quell’abbraccio. Riprese a volare e pensava a quel cerchio rosso sul quaderno e subito gli vennero in mente altri cerchi, quelli sui quali le bellissime Alfa Romeo della sua pilotessa percorrevano le strade e i circuiti per vincere, perché ogni vittoria era un’occasione per raccogliere fondi che dovevano asciugare altre lacrime, ben diverse da quelle che aveva visto versare da quel bambino tanto amato e protetto.
Alfino sentì forte il richiamo di tornare dalla sua pilotessa, e riprese a volare attraversando nuvole e facendosi scaldare dal sole. Arrivò appena in tempo per vedere Miss Speedy infilarsi il casco e salire sulla sua bellissima Alfa rossa.
Allora si adagiò tra quei sedili, respirò quel profumo che gli era familiare e, insieme a lei, andò incontro alla vittoria.


Elvira Ruocco

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