Le Alfa Romeo venute dal Brasile, figlie di un dio minore

La storia delle Alfa Romeo del Brasile, oggetti esotici e curiosi, che insieme alla FNM hanno calpestato per decenni le strade sudamericane




Pensare al Brasile fa venire alla mente una miriade di immagini meravigliose, fra tramonti incantevoli in riva al mare, spiagge bianche e tanta allegria riversata in strada a passi di samba. Da Copacabana, località più in voga di Rio de Janeiro, a Pão de Açúcar (Pan di Zucchero), passando per Salvador de Bahia, il Paese sudamericano trasmette un gusto seducentemente esotico. Sotto allo sguardo del grande Cristo Redentor sono passate tantissime vetture che, per noi europei, restano misteriose e arcane, come un enigma dei templari. Eppure, alcune di queste hanno indossato prestigiosi fregi europei, come nel caso delle Alfa Romeo del Brasile. Dagli anni Sessanta fino al termine degli Ottanta del secolo scorso, il costruttore di Arese ha solcato le monumentali vie carioca con modelli che non hanno mai visto la luce in madre patria. Per questo motivo, per moltissimi, le Alfa brasiliane suscitano una curiosità morbosa paragonabile a una spedizione lungo il Rio delle Amazzoni.

L'ascesa della Fábrica Nacional de Motores
Un pilastro dell'industria automobilistica brasiliana era la Fábrica Nacional de Motores, o semplicemente FNM, nata per volere dello stato brasiliano che auspicava una repentina crescita industriale del Paese. I suoi stabilimenti situati a Duque de Caxias, a pochi passi da Rio de Janeiro, si attivarono agli inizi degli anni Quaranta, prima per creare dei propulsori destinati all'aeronautica, poi per lo sviluppo di autocarri, stabilendo una collaborazione stretta con l'italiana Isotta-Fraschini. Quando quest'ultima uscì di scena, il suo posto venne preso dall'Alfa Romeo. La joint-venture nasceva sulla scia di quella precedente, quindi la FNM sviluppava per il mercato del Sud America degli autocarri per conto della Casa di Arese. Ottenendo dei discreti successi. Travolti dall'onda dell'entusiasmo, trovando appoggio dai piani alti del Biscione, la FNM oltrepassò il confine e iniziò a cimentarsi nel campo delle automobili. Dal Portello, l'Alfa Romeo contribuiva a dare supporto tecnico e materiale, alla prima vettura della Fábrica Nacional de Motores: la 2000.


FNM JK

Chiamata anche FNM JK, in onore del presidente brasiliano Juscelino Kubitschek, la berlinona veniva assemblata nella fabbrica di Xerém. Sotto al cofano poteva vantare il mitico bialbero Alfa da 1975 cc (depotenziato a 95 CV), a doppio carburatore, modificato nel rapporto di compressione affinché funzionasse al meglio con la benzina locale, differente - nelle specifiche - rispetto a quella del Vecchio Continente. L'automobile prodotta su licenza del costruttore italiano, sfoggiava con orgoglio il suo grande scudettone all'anteriore, a dimostrazione di una parentela stretta con la gloriosa casata sita dall'altra parte dell'Atlantico. Con la destituzione del presidente Kubitschek nel 1964, la FNM JK divenne soltanto 2000. Un paio d'anni più tardi si aggiunsero in listino la 2000 TiMB (Turismo Internazionale Modello Brasile), che sviluppava la bellezza di 130 CV e la sportivissima Onça, con carrozzeria coupé dai tratti muscle. Visti i successi ottenuti, l'Alfa Romeo decise di acquistare la FNM all'alba del 1968, rendendola di fatto una costola dell'industria italiana.

Dalla FNM 2150 all'Alfa 2300
Per celebrare il matrimonio in modo ufficiale, l'Alfa decise di dare una svecchiata alla 2000, introducendo la sua sofistica erede: la 2150. Il motore d'origine venne rinforzato, reso più pronto e corposo, con un aumento sia della cilindrata che della cavalleria, che toccarono - rispettivamente - quota di 2132 cc e 125 CV. Le migliorie furono apportate anche al cambio, che poteva gloriarsi dei cinque rapporti, una primizia per quelle latitudini. Esteticamente la 2150 riduceva le dimensioni dello scudo anteriore, che ora strizzava l'occhio a quello della 1750 italiana, mentre nel complesso guadagnava una silhouette più slanciata e armonica.


FNM 2150

Nel 1974 si giunse alla prima autentica rivoluzione. Per sostituire la 2150, da Milano presero la decisione di togliere alla nuova berlina brasiliana il marchio FNM, per darle in dono quello originale dell'Alfa Romeo. Un'investitura ufficiale, come se il re avesse poggiato la spada sulla spalla di un prode guerriero, trasformandolo infine in un cavaliere. La grande novità si chiamava Alfa Romeo 2300, un modello curioso e affascinante, moderno e per certi aspetti simile alla "cugina" Alfetta, almeno sotto l'ottica stilistica dove sono evidenti le similitudini. Infatti, le due vetture nate a migliaia di chilometri di distanza, sottopelle erano profondamente diverse. La media italiana vantava l'innovativo schema Transaxle, che la 2300 non sfoggerà mai. In fondo, la brasiliana aveva delle dimensioni da grossa ammiraglia (4,7 metri contro i 4,2 dell'Alfetta), che le garantivano comfort e grande abitabilità. La sua fama le permise di diventare la prescelta dell'establishment brasiliano, degli alti "papaveri" del governo, che le diedero i galloni di auto presidenziale.

L'ultima della specie
Negli anni l'Alfa 2300 veniva aggiornata con molteplici versioni che la arricchirono nelle dotazioni, mentre il motore da 2,3 litri bialbero da 140 CV (SAE) giunse fino ai 149 dell'ultima edizione. Nel 1982 l'ammiraglia "oriunda" riusciva ad alimentarsi anche ad alcol etilico, dunque, non solo con la benzina seguendo le consuetudini brasiliane. L'ultimissima Alfa 2300 che, uscì dalle catene di montaggio di Bétim, fu un esemplare del 1988, dopo quattordici anni di gloriosa carriera. La storia si interruppe in modo brusco e senza un saluto caloroso, come conviene tra vecchi amici. D'altronde nel 1986 l'Alfa perse la sua indipendenza, passando sotto l'ala di Fiat, che mise le mani anche sulla FNM, per estendere i propri confini anche al Brasile.


Fonte: https://www.ilgiornale.it/

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