Un’Alfa 155 V6 riemersa dalla polvere

Dopo dieci anni di abbandono, quest'Alfa 155 V6 con il nobile motore "Busso", è stata restaurata a fondo e noi l'abbiamo riportata a casa, cioè sul “pistino” del Museo di Arese, a due passi dallo stabilimento da cui è uscita nel dicembre del 1991




PUNTO DI SVOLTA. Messo alle strette, probabilmente persino l’alfista più incallito faticherebbe a dire il contrario: all’alba degli anni ’90, con buona pace del Biscione, la lista di macchine più divertenti da guidare dell’Alfa 155 era piuttosto lunga. Sobbarcatasi l’arduo compito di non far rimpiangere l’Alfa 75, vero oggetto di venerazione presso gli amanti del genere, la nuova berlina medio-grande sembrava segnare il definitivo abbandono della trazione posteriore da parte della Casa milanese.

PARENTELA DELLA DISCORDIA. Preannunciata qualche anno prima dall’Alfa 164, primogenita del nuovo corso “tutto avanti” deciso dalla Fiat, che aveva annesso al suo impero il feudo di Arese nel 1986, fu quella una rinuncia assai dolorosa per gli alfisti più “veraci”, afflitti non poco dall’idea di dover scendere da una macchina che aveva portato alla massima espressione la raffinata meccanica transaxle dell’Alfetta per salire su un modello strettamente imparentato con le tutto fuorché sportive sportive Fiat Tipo e Tempra.

UN MOTORE, UNA GARANZIA. Il passato, però, è passato, e oggi, a distanza di oltre trent’anni, le cose sono cambiate. E così l’Alfa 155, che in gioventù non è mai riuscita a conquistare del tutto la tribù alfista, il suo posticino al sole tra i Biscioni di una volta sta cominciando a ritagliarselo. Se il percorso di “riabilitazione” è un continuo crescendo, il merito è quasi tutto delle versioni da corsa, a cominciare, naturalmente, da quella che da debuttante, nel 1993, sbancò, demolendo la Mercedes in casa sua e infrangendo ogni record, il Campionato Turismo Tedesco. Alleggerito e infarcito di appendici aerodinamiche da capo a coda, quel bolide, che derivava dalla Lancia Delta Integrale da rally, non aveva però praticamente nulla a che spartire con le 155 che si vedevano sulle nostre strade. Tranne che per un aspetto fondamentale: il motore.

DALLA STRADA ALLA PISTA. Seppur rivisto dagli uomini del reparto corse dell’Alfa dal primo all’ultimo bullone e disposto in senso longitudinale anziché trasversale, infatti, il feroce motore da oltre 400 CV che ha permesso a Nicola Larini di dominare il DTM 1993 è una diretta evoluzione del 2.5 V6 della più nobile delle 155 di serie. Ed è proprio al volante di un’Alfa 155 V6 che abbiamo cercato di ricreare quella connessione magica che lega il modello stradale al mito dell’auto da corsa. I punti di contatto tra la strada e la pista, a onor del vero, si esauriscono in fretta.


PESA MA CANTA CHE È UN PIACERE. Poco importa, comunque, se strapazzandola tra le curve l’Alfa 155 V6 accusa una certa fatica nel dissimulare i quasi 1400 chili che fa segnare sull’ago della bilancia. Abbracciati da una colonna sonora che, avvicinandosi alla zona rossa del contagiri, fa scomparire tutto il resto, ci si muove lo stesso abbastanza svelti fino alla soglia dei 215 km/h. Una punta di tutto rispetto, considerato che le ruote anteriori scaricano sull’asfalto 165 CV: una buona potenza, certo, ma non abbastanza da far gridare al miracolo. Rispetto al motore alimentato da sei carburatori monocorpo che aveva debuttato sotto il cofano dell’Alfa 6 nel 1979, in ogni caso, fanno sette cavalli in più, anche se a fare la differenza, al di là dei numeri, è l’erogazione, che sulla 155, grazie all’iniezione elettronica, è più fluida e regolare.

DIFFICILE DISTINGUERLA. In assenza della scritta “V6” in coda, solo un occhio molto esperto potrebbe intuire che la macchina da noi provata sul “pistino” del Museo Storico Alfa Romeo è diversa dalla maggior parte delle altre Alfa 155 prima serie. I cerchi in lega a 14 fori da 15 pollici potrebbero essere un segno particolare, in realtà, ma l’indizio che stavamo cercando per avere la conferma che attendevamo si palesa solo spalancando il cofano anteriore dell’Alfa 155 V6: quei sei, mitici condotti d’aspirazione cromati sono uno spettacolo. E troneggiano su un motore che è un monumento alla creatività italiana applicata alla meccanica.

MADE IN ARESE. Ma il mitico “Busso” non è l’unico elemento a rendere davvero speciale quest’Alfa 155 V6. “È una delle circa 680 costruite qui, ad Arese, nel dicembre 1991 – ci racconta il proprietario, Francesco Durin, 30 anni da Manerba del Garda, mostrandoci le foto del giorno in cui l’ha portata a casa coperta di polvere – poi la produzione si è spostata a Pomigliano d’Arco. L’avevo adocchiata già nel 2016, ma per convincere a vendermela il proprietario, un signore quasi ottantenne amico di mio nonno, ho impiegato tre anni”.

UNA PASSIONE DI FAMIGLIA. Abbandonata sotto una fitta coltre di polvere nel cortile porticato di una cascina, l’Alfa 155 V6 ha ripreso a ruggire dopo uno stop durato almeno dieci anni. “La prima cosa che ho fatto è stato mettere 20 euro al distributore automatico – scherza Francesco – poi con il mio meccanico abbiamo intrapreso un lungo e accurato lavoro per rimetterla in ordine”. Pulizia del serbatoio e sostituzione delle parti in gomma ormai logorate dal tempo, per cominciare. Quindi un bel kit di distribuzione nuovo di zecca, con tanto di modifica del tendicinghia da idraulico a meccanico, per scongiurare perdite d’olio, più una revisione completa dell’impianto di raffreddamento.

MORBIDA, NON SPORTIVA. Naturalmente sono stati montati pneumatici e ammortizzatori nuovi che fanno egregiamente il loro lavoro anche nella guida veloce, al netto di una taratura delle sospensioni che alla guida sportiva privilegia nettamente il comfort. Ma la 155, per Francesco, non è certo l’auto da guidare col coltello coi denti, andando a caccia del miglior tempo sul giro: “Quando la guido penso a mio nonno Luigi, che oggi non c’è più, ma per fortuna ha fatto in tempo a farsi qualche giro in macchina con me. La mia prima Alfa, una 75 Twin Spark che conservo come un tesoro, me l’ha regalata lui. Ed è a lui che devo dire grazie, se sono diventato alfista”.



Fonte: https://www.veloce.it/

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