Alfa Romeo Alfetta: una berlina sportiva entrata nel mirino dei collezionisti
Il suggerimento è quello di puntare sulla versione Quadrifoglio Oro a iniezione, oggi reperibile intorno ai 12mila euro, e di conservarla con cura
Quando esce un nuovo modello Alfa Romeo il mondo degli appassionati entra immancabilmente in risonanza; è sempre stato così ed è un meraviglioso portato della popolarità di questo marchio e dell’ammirazione che esso ha sempre suscitato in chi conosce veramente le automobili. Ad ancora maggior ragione quel 17 maggio 1972, quando l’Alfetta fu svelata al pubblico, cominciarono le discussioni dal momento che si trattava del modello più innovativo della Casa nel secondo dopoguerra; due furono i temi principali: la coda così alta ed il cambio al retrotreno.
In effetti, considerando che l’Alfetta era destinata a sostituire gradatamente l’Alfa 2000, la rivoluzione stilistica fu difficile da digerire immediatamente, con quel baule enorme che così poco entusiasmava gli alfisti; i quali, anche se tengono famiglia, sono abituati ad anteporre altre considerazioni alla capacità del bagagliaio. Piano piano però si fece l’abitudine a questa nuova linea e si capì quanto l’Alfetta fosse bella, pur senza aver necessitato di interventi di star dello stile; il Centro interno alla fabbrica guidato dall’ottimo Giuseppe Scarnati (quello della Giulietta Sprint, non lo si dimentichi) bastò per fare un lavoro egregio destinato a tenere il mercato per quindici anni, se si considera anche l’Alfa 90 che dell’Alfetta fu un restyling neanche troppo profondo.
Diverso il discorso sull’adozione del cambio abbinato al differenziale che costrinse a rinunciare al “coltello piantato nel burro” delle 2000 e delle Giulia: tanto silenzioso e manovrabile da costituire un aspetto non secondario del piacere di guida di un’Alfa Romeo: sull’Alfetta i lunghi leveraggi di comando ne resero meno preciso l’azionamento, e l’inerzia dell’albero di trasmissione al disinnesto della frizione impedirono sempre il silenzioso innesto della prima marcia (i clienti, per evitare grattate imbarazzanti, impararono a passare dalla seconda prima di innestarla).
Un paio di difetti che non si riuscì mai a superare del tutto ma occorre dire che, sull’altro piatto della bilancia, tale soluzione consentì una distribuzione dei pesi degna di un’auto sportiva conferendo all’Alfetta una tenuta di strada che diventò presto leggendaria; al proposito chiedere alle Forze dell’Ordine. Tutto il resto della meccanica era, come sempre in casa Alfa Romeo, non migliorabile per una berlina di media cilindrata; obiettivo raggiunto facendo tesoro delle eccellenze disponibili in casa per freni a disco e motore, che è quello della 1750, e pensando ad una nuova impostazione delle sospensioni con barre di torsione anteriori e ponte De Dion posteriore.
Dopo una breve parentesi dovuta all’austerità degli Anni 70 che vide la presentazione di una versione mossa dal motore da 1,6 litri della Giulia Super, caratterizzata dai soli due fari, l’evoluzione dell’Alfetta è sempre stata verso l’alto fino a raggiungere l’eccellenza della versione 2000 L del 1979 con motore due litri da 130 CV veri.A quel punto una delle berline più brillanti del mercato aveva finalmente una finitura degli interni all’altezza delle altre sue doti: molto piacevole il velluto dei sedili ed anche le parti in radica della plancia che, per quanto finta, contribuiva a rendere più calda l’accoglienza nell’abitacolo; volendo, poi, l’Alfetta “L” poteva essere completata con interno in pelle e condizionatore d’aria oltre che con gli obbligatori cerchi in lega Millerighe; se pensiamo infine alla bellezza delle tinte Luci di Bosco ed Azzurro Pervinca, oltre al Rosso per i più audaci, si può senz’altro concludere che il cliente poteva farsi allestire un’esemplare personalizzato molto accattivante.
Dal 1982 in avanti l’Alfetta dovette misurarsi con le necessità di diminuzione di consumi ed inquinamento; lo fece in maniera adeguata ma, purtroppo, le relative versioni furono funestate dall’applicazione di finiture in plastica del tutto avulse dallo stile dell’auto; per tornare ai livelli di attrattiva del 1979 occorse attendere il 1983, quando venne presentata la versione definitiva della Quadrifoglio Oro con motore alimentato ad iniezione ed accensione integrate Bosch Motronic.
I CV a disposizione si avvicinarono a quelli della L (128) ma con consumi molto minori ed una regolarità di funzionamento non più influenzata da cambi di stagione o dall’amicizia con un bravo carburatorista mentre colori, solo metallizzati, ed allestimento raggiunsero un livello insuperato; da segnalare anche il forte recupero di personalità nel muso con il ritorno ai doppi fari rotondi.
Dopo 475.000 esemplari circa, nel 1984 l’Alfetta lasciò il posto all’Alfa 90: un’ottima automobile poco capita sia allora sia oggi; viceversa l’Alfetta è già entrata nel mirino dei collezionisti e le prime serie si scambiano già oltre i quindicimila Euro. Noi suggeriamo di mirare anche alla Quadrofiglio Oro ad iniezione, reperibile attorno ai dodicimila Euro, vincendo però la tentazione di usarla ogni giorno: deve essere conservata.