Alfa Romeo Giulietta Veloce
Una settimana con la 2.0 JTDm Tct [Day 2-3-4-5]




Un pranzo Veloce [Day 2]. La Giulietta l’ho guidata un po’ in tutte le salse, dalla versione Quadrifoglio Verde con il 1.750 turbo d’alluminio della 4C alla diesel 1.6 MultiJet, passando per la bifuel a Gpl. Per uscire dalla redazione per pranzo sono salito a bordo della media di Arese con un’abbinata che ancora mi mancava, il 2.0 MultiJet da 170 CV con il cambio automatico doppia frizione Tct. Dovendo fare pochi chilometri, decido di provare subito la modalità più sportiva, la Dynamic, muovendo in avanti il selettore del Dna. Noto immediatamente risposte rapide all’acceleratore, che però non sempre sono ben seguite dalla trasmissione, un po’ incerta in alcuni frangenti. Lo sterzo, invece, ha un’impostazione decisamente sportiva: è piuttosto diretto, ma nella modalità più dinamica ha un carico che, alle basse velocità e in manovra, alla lunga potrebbe diventare un po’ eccessivo. Per il resto la Giulietta è comoda (anche d’assetto) e spaziosa. Chi siede davanti può trovare facilmente una posizione confortevole (anche se, personalmente, avrei preferito una seduta più bassa) e pure chi sta dietro, a patto di essere in quattro, può viaggiare a lungo senza problemi. C’è però da dire che la presenza dei poggiatesta integrati nei sedili limita la visuale dei passeggeri posteriori, un piccolo prezzo da pagare per avere un abitacolo nettamente più sportivo rispetto alle altre versioni. Parlando di infotainment, infine, il nuovo sistema firmato Alpine ha una grafica gradevole e uno schermo ad alta risoluzione sul quale si possono visualizzare anche le immagini, ben definite, della retrocamera. Pur preferendo i tasti fisici del modello uscente, ho trovato molto più sfruttabile la nuova unità da 7”, soprattutto per via della compatibilità con Android Auto e Apple CarPlay, un must ormai per ogni segmento.

Un’Alfa è sempre un’Alfa [Day 3]. Sono sempre stato un estimatore delle Alfa Romeo di taglia - diciamo - media. Ho splendidi ricordi di una 145 Quadrifoglio (non storcete il naso, montava un generoso 2 litri T.S. 16V da 150 CV) e di tutte le (numerose) 147 che mi sono passate tra le mani, compresa un’indimenticabile GTA rossa (V6 3.2 litri da 250 CV). Poi, è arrivata la Giulietta. E l’ho amata subito, considerandola degna erede della dinastia fin qui citata. Bella, originale con quel ricciolo quasi vezzoso originato dai gruppi ottici posteriori quando ancora eravamo agli albori del light design, e, soprattutto, veloce. Caratteristica, quest’ultima, che si è trasformata nel nome della versione che ho appena guidato. Inutile indulgere in nostalgici richiami a un passato ancor più lontano, quando a chiamarsi così erano le Giulietta Sprint e Spider e le meravigliose coupé della Giulia. Gli anni, anzi i decenni volano via, i tempi cambiano e questa Giulietta monta addirittura un vituperato motore a gasolio. Il Dna, e non intendo solo quello del selettore di comportamento che occhieggia sul tunnel centrale invitandomi subito a settarlo sull’opzione Dynamic, resta però immutato ed è quello di un’Alfa. Che, in quanto tale, si apprezza molto di più in movimento che da ferma. Se ci si sofferma sugli interni ci si rende infatti conto di come sia ormai un’auto datata: inevitabile, per un modello che è ormai sulla breccia da suppergiù un decennio. Infotainment, disposizione dei comandi, assenza di alcune funzioni alle quali ci siamo abituati: tutto denuncia l’inarrestabile scorrere del tempo. E però. Metti in moto, affondi l’acceleratore, trovi un tratto di strada appena mosso e tutto cambia. Dimentichi il resto e ti godi la grinta dei 170 CV, la coppia generosa (350 Nm a 1.750 giri/min), lo sterzo diretto (sì Andrea, il carico è un po’ elevato, ma pazienza), il cambio Tct, magari non prontissimo ma reso più agile dai comandi al volante, la precisione del comportamento dinamico. Ci si diverte ancora con la Giulietta, eccome. Al punto da sperare che, prima o poi, alla FCA decidano di rifarla. Nuova, più moderna, più connessa: tutto quello che volete, purché sempre, inconfondibilmente, Alfa.

Ancora coinvolgente [Day 4]. Avete presente quegli oggetti di casa che, appartenuti al papà o a qualche nonno, denunciano inevitabilmente il peso degli anni? Che magari hanno un concezione datata e sono diventati fanée, ma ai quali non rinuncereste mai, perché quando sono chiamati a fare il loro lavoro, cioè il motivo che ne ha determinato la costruzione, ancora se la cavano alla grande? Anzi, per certi versi vi regalano soddisfazioni maggiori rispetto a qualche modernità ultimo grido? Ecco, se ho reso l’idea, per me l’Alfa Romeo Giulietta è esattamente così. Il progetto è vecchio, la linea non cattura più l’occhio, l’abitacolo sembra un fricandò di continui rimaneggiamenti. Quando però metti le gomme sull’asfalto, accendi il motore e vai capisci che c’è qualcosa di diverso, di più coinvolgente anche rispetto alle tante concorrenti di nobile virtù. Nella mia mente la Veloce era in soffitta. L’ho rispolverata in un Milano-Roma a/r passando per la dorsale tirrenica. E, pur rimanendo a velocità di codice, sull’autocamionale della Cisa ho spolverato chiunque. Poche volte mi era capitato di affrontare la salita da Fornovo a Berceto (un tratto complicatissimo, che definire autostrada richiede un’enorme sforzo di fantasia), con una tale precisione di traiettorie e una tenuta del tutto scacciapensieri. Manettino in D e coppia che schioppa. Poi, sull’Aurelia, confort buono e percorrenze apparentemente buonissime: oltre 600 chilometri casa-casa consumando tre quarti del maxi serbatoio (confesso però di non essere stato attento al trip computer e di non potervi dare un dato puntuale). Non so come la pensiate. Per come la vedo io, il legame tra (Alfa) Romeo e Giulietta è andato in scena tante volte, sarà pure d’altri tempi e forse non è più l’archetipo di un grande amore, ma sarebbe bello (e impossibile?) che le rappresentazioni continuassero ancora.

Handling e confort, sempre un riferimento [Day 5]. Era la fidanzata degli italiani. Secondo lo slogan pubblicitario degli anni 50. Con quel nome di donna, che da solo evocava amori di sapore shakesperiano, la Giulietta fu il primo modello Alfa che quasi quasi potremmo chiamare di massa, cioè che sottrasse il marchio a un empireo di facoltosi “esperti” per gettarlo nella mischia di una media borghesia in ribollente espansione. L’auto che ai giorni nostri ne ha ripreso il nome ha fatto, anch’essa, la fidanzata degli italiani (e delle italiane) per dieci anni e dovrà sostenere questo ruolo ancora per almeno altri due. Io non la guidavo da tanto, praticamente da quando era uscita, nel 2010, ed ero curioso di “rivederla”, proprio come una vecchia fiamma, che ti chiedi come sarà, quanto sarà cambiata rispetto all’istantanea che il ricordo ha cristallizzato nella tua mente e che la ritrae ancora nel fiore degli anni. Ci incontriamo in un parcheggio, quello delle auto di prova di Quattroruote, luogo poco romantico ma in fondo il più adatto a un rendez-vous con una signorina fatta di lamiere, bielle e bulloni. Ebbene? Prima impressione? Beh, devo dire che, vista da fuori, l’eterna fidanzatina (ormai la linea di confine con la zitellona tende a farsi più sottile) se la cava ancora piuttosto bene. Forme giuste, volumi dove serve, silhouette slanciata. Poi nella livrea Veloce, con un bel rosso amaranto e cerchi neri da 18 con pneumatici 225/40, esibisce un tacco dieci. Forse qualche soluzione estetica è un filo datata, ma la bellezza originaria, cioè, fuor di metafora, il buon design, è lì ancora tutto intatto, in proporzioni e linee fatte per resistere all’usura del tempo. È dentro che la Giulietta rivela qualche ruga. Del resto si sa: è negli abitacoli che si è vista l’evoluzione più significativa degli ultimi anni. E in questo campo un lustro vale un’era geologica. Difficile trovare un’auto uscita più di nove anni fa che sia in grado di esibire degli interni al passo coi tempi. La Giulietta non fa eccezione: l’impostazione è vecchia; lo schermo dell’infotainment, pur aggiornato, ha l’aria poco seducente dell’accessorio after-market, con alcuni tasti microscopici alla base e una cornice piano black che mal si accorda col resto dei rivestimenti; non c’è un posto dove appoggiare il cellulare e non si possono neppure forzare allo scopo i porta-tazza perché sono troppo piccoli per contenere uno smartphone di oggi. Quanto all’impostazione di guida, sulla Giulietta a causa del volante un po’ troppo inclinato, ha sempre richiesto di farci un po’ l’abitudine. Ancora valide, invece, quelle che erano le virtù che caratterizzavano il modello quando uscì: in particolare l’equilibrio tra handling e confort. I tecnici Alfa, sotto la guida di Harald Wester, fecero davvero un buon lavoro nel mettere a punto sospensioni che, mentre garantiscono un’ottima risposta nel misto-veloce, offrono nel contempo un assorbimento delle asperità stradali quasi da classe superiore. La confortevolezza dell’auto fu uno dei criteri guida del lavoro dei progettisti, il cui obiettivo era realizzare una macchina che non avesse nulla da invidiare alle rivali tedesche nell’uso quotidiano. Obiettivo raggiunto allora, secondo quelli erano gli standard dell’epoca, ma che, a mio avviso, ancora oggi definisce una delle qualità maggiori della Giulietta.


Fonte: quattroruote.it

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