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Le Alfa Romeo 33 che non avete mai visto

L'’Alfa Romeo 33 è stata uno dei maggiori successi della Casa milanese. E chissà come sarebbero andate le cose se fosse stata commercializzata anche la versione a tre porte, già disegnata e definita dal centro stile Alfa Romeo guidato dall’architetto Ermanno Cressoni.




Talvolta le case automobilistiche rinunciano al lancio delle versioni a tre porte per contenere i costi di sviluppo del progetto o perché questa carrozzeria, più apprezzata dai giovani e da chi ama la guida sportiva, non si adatta all’immagine pensata per il nuovo modello. Questo non era certo il caso dell’Alfa Romeo 33, derivata direttamente dall’Alfasud, che era stata già proposta anche nella più sportiva versione a tre porte. Restano quindi misteriosi i motivi che hanno portato l’allora presidente dell’Alfa Romeo, Ettore Massacesi, a dire no a questa versione, che avrebbe potuto rappresentare il fiore all’occhiello della gamma 33, proprio come lo è stata la GTI a tre porte per la Golf. In più, come mostrano queste immagini, la 33 tre porte era pure bella: la sua linea a due volumi a mezzo si sposava perfettamente con l’immagine della berlina compatta dal look sportivo, quasi fosse una coupé. E neppure in occasione del debutto, nel 1984, della versione sportiva 1.5 Quadrifoglio Verde e 4x4, il varo della 33 a tre porte non viene preso in considerazione, preferendo dirottare gli investimenti sulla familiare Sportwagon.

La genesi della 33. Presentata nel 1982, la 33, con oltre un milione di esemplari prodotti, resta l’Alfa Romeo più venduta nei 108 anni di storia del marchio. Il progetto, siglato 905, parte alla fine del 1978, quando il compito di realizzare il nuovo modello, destinato a utilizzare la meccanica ancora attuale dell'Alfasud, viene affidato al team di 25 designer del centro stile interno, allora ancora al Portello, e a Giugiaro. Fra le due proposte, la più originale risulta quella del centro stile, mentre il modello presentato dall’Italdesign ha una linea a due volumi più tradizionale, che sarà in parte ripresa dallo stesso Giugiaro per un modello coreano degli anni Ottanta.

Due volumi e mezzo. Prima di arrivare alla definizione finale del design, al Portello lavorano a lungo per stabilire l’impostazione stilistica, passando dall’iniziale proposta di coda arrotondata, simile a quella dell’Alfasud, a un accenno di volume posteriore, con l’ampio montante caratterizzato o meno dalla presenza di un terzo finestrino. Dopo la realizzazione di una serie di modellini in scala 1:10, all’inizio dell’estate del 1979 viene definita la carrozzeria di quella che era ancora chiamata "nuova Alfasud", prima recuperare la sigla 33, ripresa dalle Alfa sport prototipo campioni del mondo nel 1975 e ’77. La scelta dei vertici Alfa Romeo cade in favore del progetto a “due volumi spezzato” del centro stile interno.

Scelte di praticità. A questo punto, alla fine del 1979, restano ancora da definire l’abitacolo e alcuni elementi stilistici del frontale e della coda: una prima proposta più stilizzata e spigolosa dello scudetto e della calandra viene abbandonata in favore di una mascherina più sportiveggiante e avvolgente, adottata negli stessi mesi sulla seconda serie dell’Alfasud Sprint. Nel posteriore, la soluzione iniziale, che prevede gruppi ottici più sviluppati in altezza e massicci, lascia il posto a quelli poi adottati, che permettono di abbassare leggermente la soglia del portellone ma forse hanno reso meno “importante” la coda della vettura.

Aerodinamica e sportiveggiante. Grazie anche al tetto abbassato di due cm rispetto a quello dell'Alfasud, la linea del nuovo modello è più sportiveggiante, mentre il Cx migliora nettamente, passando da un valore di 0,42 a 0,36. Viene riproposto il pratico portellone, che invece era mancato nella prima serie dell’Alfasud, destando non poche contrarietà. Un’altra soluzione scartata per la 33, ma che invece è stata adottata due anni dopo sulla 75, è la fascia di plastica nera che percorre tutta la parte alta delle fiancate per sottolineare la linea a cuneo della vettura.

Biscotti, biscotti ovunque. Nel corso del 1980 vengono definiti gli interni dopo avere messo a confronto due diverse alternative: la prima basata sulla strumentazione analogica tradizionale, che poi viene scelta, e l’altra più innovativa, con strumenti di tipo elettronico e digitale, scartata per motivi di funzionalità e di immagine. Queste proposte sono entrambe caratterizzate dalla forma “a biscotto” di molti particolari, che infatti sul modello di serie ritroviamo nelle maniglie delle porte, nella calandra e in alcuni elementi della plancia.








Fonte: ruoteclassiche.it

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