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Dieselgate: dopo la VW, la FCA. Ma con molte differenze Dopo lo scandalo dieselgate della Volkswagen, ora è il gruppo FCA a essere sotto accusa negli Usa. Ma la situazione è ben diversa.Negli Stati Uniti, accuse di dieselgate anche per il gruppo FCA: è di ieri la notizia (qui per saperne di più) dell’affondo dell’Epa (l’ente per la protezione ambientale degli Usa) contro il gruppo italo-americano. Fiat Chrysler avrebbe “falsato i dati sulle emissioni” di 103.828 vetture (suv Jeep Grand Cherokee e pick-up Dodge Ram) equipaggiate con motori diesel 3.0. Sulla scorta di quanto è dato sapere in questo momento, alVolante.it ha messo a fuoco le differenze fra il caso FCA e lo scandalo Volkswagen, scoppiato nel settembre del 2015.
DUE GRUPPI, DUE ACCUSE
Volkswagen - L’accusa è di avere introdotto nelle centraline dei suoi motori a gasolio un software “nascosto” (“cheating device”) in grado di riconoscere quando il veicolo era sottoposto a un test di omologazione, modificando di conseguenza il funzionamento del motore in modo tale da consentirgli di superare senza difficoltà la prova. Salvo, però, rilasciare nell’aria, durante il normale utilizzo su strada, una quantità di ossidi di azoto 40 volte superiore ai limiti. Una scelta voluta per aggirare le norme, a cui è seguita un’accusa con conseguenze civili e penali (e che, fra l’altro, ha portato all’arresto di Oliver Schmidt, manager Usa della Volkswagen).
FCA - Per ora l’accusa (pur grave) è meno pesante rispetto a quella a carico della VW. Secondo l’Epa, si tratta di una violazione del Clean Air Act, la legge federale sulle emissioni: in fase di omologazione la FCA non avrebbe comunicato che, durante la normale marcia del veicolo, il software che gestisce il funzionamento del motore può permettere un aumento delle emissioni di ossidi di azoto. Un vizio di trasparenza: negli Usa, infatti, è ammesso l’uso di strategie di controllo (giustificate dalla necessità di salvaguardare il motore in condizioni particolari di guida) dell’iniezione e del trattamento anti-smog tali da aumentare temporaneamente le emissioni, ma queste strategie devono essere dichiarate prima dei test di omologazione. Si tratta, quindi, di una violazione di carattere amministrativo, non penale. L’Epa, che ha definito il software della FCA “auxiliary emission control device” (sistema di controllo ausiliario delle emissioni), non ha però ancora completato il suo lavoro: sta verificando se i software trovati non possano essere valutati, nella sostanza, come “defeat device”, che sono invece illegali.
DUE ACCUSE, DUE RISPOSTE
Volkswagen - Ha ammesso di aver truccato il software dei diesel per abbassare le emissioni durante i test di omologazione.
FCA - “I nostri motori diesel”, è scritto in una nota del gruppo, “hanno un hardware di controllo delle emissioni all’avanguardia, compreso il sistema di riduzione catalitica, l’Scr. Ogni costruttore deve realizzare un equilibrio tra le prescrizioni di Epa relative al controllo di emissioni di ossidi di azoto e la necessità di rispondere a precisi requisiti di durata, prestazioni, sicurezza e contenimento dei consumi”. Per l’amministratore delegato del gruppo, Sergio Marchionne, non è stata commessa alcuna frode: “Il nostro caso non è assimilabile a quello di Volkswagen. Discuteremo con le autorità Usa le proposte per il nostro piano di omologazione per il 2017. Se verranno accettate, le nuove regole potranno servire anche a risolvere i problemi legati ai modelli del periodo 2014-2018”.
LE AUTO COINVOLTE
Volkswagen - Le vetture incriminate sono state, inizialmente, circa 500.000, negli Stati Uniti. Poi, però, il problema è diventato mondiale, coinvolgendo 11 milioni di veicoli. Fra i marchi interessati: Volkswagen (5 milioni di esemplari), Audi (2,1 milioni), Skoda (1,2 milioni) e Seat (700.000). I veicoli “incriminati” sono stati prodotti fra il 2009 e il 2015.
FCA - I veicoli nel mirino per le emissioni sono 103.828, e solo negli Stati Uniti: si tratta di suv Jeep Grand Cherokee e di pick-up Dodge Ram 1500, entrambi con motori diesel V6 3.0 di origine VM, prodotti fra il 2014 e il 2016.
LE SANZIONI
Volkswagen - All’alba del dieselgate (settembre 2015), la multa prospettata era di 45 miliardi di dollari. Alla fine, per chiudere l’azione civile con l’autorità ambientale e con i clienti, la sanzione è stata di circa 14,7 miliardi, a cui hanno dovuto essere aggiunti altri 4,3 miliardi di dollari per chiudere anche l’azione penale. Totale: circa 20 miliardi.
FCA - Nessun riferimento a una possibile azione penale: sul gruppo FCA non pendono accuse di questo tipo. La multa massima di cui si parla (unicamente per chiudere l’azione civile) è di 4,63 miliardi di dollari: 44.539 dollari per ogni auto. Ma, se si arrivasse a un patteggiamento, la cifra potrebbe essere ridotta, come già accaduto nel caso della Volkswagen.
LE PROSPETTIVE
Volkswagen - La “partita” si avvia alla chiusura, almeno negli Usa.
FCA - Oggi gli avvocati del gruppo saranno a Detroit per incontrare i vertici Epa. Lunedì 16 gennaio, il numero uno della FCA Sergio Marchionne volerà in California per discutere i criteri di omologazione per le vetture nel 2017.
CONSEGUENZE PER I CLIENTI ITALIANI
Volkswagen - Il costruttore richiama in officina le vetture “sotto accusa” per apportare modifiche (al software, ma nei motori 1.6 TDI anche alla scatola del filtro dell’aria) che riportino le emissioni entro i limiti normativi. L’intervento è gratuito, ma non è previsto alcun risarcimento ai proprietari. Negli Stati Uniti, invece, i clienti vengono rimborsati: da 5.100 a 9.852 dollari a testa.
FCA - Il problema, per ora, resta confinato agli Stati Uniti. Fonte: alvolante.it
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